Onorevoli Colleghi! - L'obiettivo della presente proposta di legge è innanzitutto quello di ridurre drasticamente i tempi di custodia cautelare in carcere in attesa del processo.
      L'articolo 13, quinto comma, della Costituzione riserva alla legge il compito di stabilire i limiti massimi della carcerazione preventiva; l'articolo 27, secondo comma, della stessa Costituzione considera l'imputato «non colpevole» fino alla condanna definitiva; per giunta, lo stesso principio della presunzione di innocenza fino alla condanna definitiva - insieme al diritto a un giusto e rapido processo - è ribadito da una serie di altre norme internazionali pattizie vincolanti per l'Italia (articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge n. 848 del 1955, e articolo 14, paragrafo 2, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966, reso esecutivo dalla legge n. 881 del 1977).
      Ne deriva che «la legge» a cui il citato articolo 13, quinto comma, della Costituzione fa rinvio, nello stabilire i limiti massimi di custodia cautelare preventiva (prima cioè di qualsiasi condanna definitiva e ad accertamento giudiziario in corso), dovrebbe essere improntata ai princìpi appena richiamati, che impongono - innanzitutto al legislatore ordinario - delle precise regole di condotta, cioè, per l'appunto,

 

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delle scelte legislative conformi, da un lato, alla presunzione d'innocenza e, dall'altro lato, al diritto a un giusto e rapido processo.
      A fronte di questa situazione, il codice di procedura penale prevede invece la possibilità di dilatare i termini di custodia cautelare, per i reati più gravi, ma pur sempre in una situazione di presunta innocenza di un individuo, fino a nove anni, cioè fino a 108 mesi, ovvero fino a 3.285 giorni in attesa di una sentenza definitiva!
      Si tratta di una scelta assolutamente indegna per un qualsiasi Paese che voglia dirsi civile: fino a nove anni di carcere, senza che vi sia stato un accertamento di colpevolezza con sentenza irrevocabile, e dunque con tutte le garanzie di forma e di sostanza del processo penale, che per sua stessa natura (oltre che per l'imposizione di norme sovraordinate) dovrebbe essere innanzitutto rapido.
      E non più di un terzo della popolazione carceraria in Italia è in attesa di giudizio: un popolo di presunti innocenti, in custodia cautelare, «praticamente» a tempo indefinito.
      La presente proposta di legge mira a porre rimedio a questa situazione imponendo il termine massimo di un anno per i reati più gravi, dilatabile in virtù di sospensioni di diversa natura, fino a due anni.
      Sono previste inoltre modifiche all'articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure preventive e limitative della libertà, per migliorare le condizioni di vita e di sicurezza nelle carceri. Ogni anno i tribunali di sorveglianza riescono a evadere solo poche migliaia di pratiche riguardanti la liberazione anticipata dei detenuti, con altissimi costi in termini di risorse finanziarie ed economiche necessarie per assicurare la loro presenza fisica alle udienze, mentre decine di migliaia di istanze restano senza risposta. Se si considera la situazione di crescente sovraffollamento delle carceri italiane con i conseguenti problemi relativi alla vivibilità e al rispetto dei diritti umani dei detenuti, e il fatto che nel 1998 su 31.487 domande di liberazione anticipata, ne sono state accolte ben 23.827, si comprendono l'importanza e l'utilità di rendere automatica la concessione del beneficio, ricorrendo al tribunale di sorveglianza solo nel caso in cui la direzione dell'istituto di pena segnali con relazione motivata la condotta negativa del detenuto.
      Si propone inoltre di aumentare da quarantacinque a sessanta i giorni di sconto di pena per ogni semestre, al fine di rafforzare il «patto» di convivenza civile nelle prigioni e di incentivare la buona e regolare condotta e l'adesione a tutte le opportunità risocializzanti che l'espiazione della pena offre, prendendosi al contempo cura della sicurezza delle decine di migliaia di operatori penitenziari che vivono quotidianamente a contatto con i detenuti, a rischio della propria incolumità.
 

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